PENSIERI NOTTURNI

Don Luca Ferrari introduce le riflessioni di Umberto, vero e proprio testamento spirituale: LINK
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Borzano, 8 gennaio 2018

Abbiamo tanti veli che ci avvolgono, che filtrano i nostri pensieri, le nostre percezioni, la capacità di vedere fuori e soprattutto dentro di noi. Risulta molto difficile togliere questi veli.

La malattia te li toglie tutti, al volo, gratis.

Sono passati quasi quattro anni, sono sempre io: ideali, convincimenti, scelte... Ma ora tutto ha un altro sapore, un'altra intensità, un’altra verità. Difficile da dire, ma è un dono della malattia, o meglio un assist: perché la partita va giocata, e si balla sempre tra l’abisso ed il cielo.

È proprio vero quanto dice il Salmo 89: “Insegnaci a contare i giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” [1]. Se svuoti tutto, perché ti viene tolto tutto, capisci cosa ti rimane in mano di quello che è stata ed è la tua vita… e se rimane qualcosa. Capisci quello che conta e quello che non conta, quello su cui vale la pena giocare tutto e quello che ci allontana dal tutto.

Solo in un abbandono totale ed incondizionato alla volontà di Dio, quello richiesto al giovane ricco, la testa ed il cuore si liberano del superfluo ed emerge con chiarezza l'essenziale: siamo chiamati a vivere una vera, profonda, unica storia di Amore.

Il Signore mi dà la grazia di toccare con mano le stupende forme e sfumature di quest’amore, le stesse che mi fanno fare esperienza concreta del suo Amore: quello di mia moglie, di nostro figlio, arricchito e dilatato da quello di cari amici e sacerdoti che la provvidenza ha legato in modo speciale alla mia famiglia.

In definitiva cosa mi rimane in mano? La mia vocazione, quella che è, come l'ho accolta e compresa, come le ho corrisposto nel dono della mia vita.

Il Signore ci convoca, chiama ognuno di noi in modo unico e speciale. Trovo veramente ispirate queste parole del Vescovo Massimo: “Egli ci introduce continuamente in territori, in esperienze che non conosciamo e che non avremmo previsto. Quando dice a Pietro – “Allargherai le braccia, un altro ti cingerà la veste” - penso che questa frase si colloca al punto più alto dell’esperienza del nostro rapporto con Cristo: devi seguirmi fino alla fine, devi amarmi fino alla fine; cioè devi amarmi nell'imprevedibilità della vita, devi amarmi in ciò che ti chiedo, non in ciò che tu vorresti, devi amarmi esattamente rivivendo nel tuo piccolo di povero uomo peccatore quello che anche io ho vissuto con mio Padre. Questa è l’alleanza, cioè dire sì fino alla fine. E allora scopri che è possibile, pur nella tua piccolezza di uomo, una immedesimazione con la vita di Gesù che in fondo è l’unica possibile consolazione, l’unico possibile conforto dell’esistenza”.

Per questo sono contento di condividere con voi alcuni pensieri sul tema della vocazione, in particolare alla comunione ed alla comunità: perché ho capito quanto sia importante e decisiva, e perché - in modo speciale – della mia vocazione voi ne siete parte.

Ho chiaro che il Signore ci ha chiamati insieme tramite don Pietro, suo strumento prezioso. L'esperienza che ci ha dato la grazia di vivere è straordinaria, irripetibile. Siamo dei prescelti e questo non possiamo non averlo tutti ben chiaro. Ci ha chiamato insieme perché insieme da noi vuole qualcosa. Il nostro stare insieme trova in questo, senso e ragione. Siamo degli umili servitori, tutti preziosi e inutili, ma servitori. Siamo al servizio di questa opera, questa ci ha affidato.

Abbiamo riflettuto tanto sul carisma, sul messaggio di don Pietro. È emersa con chiarezza la centralità della famiglia cristiana come luogo di salvezza e trasmissione della fede; il modello delle piccole comunità, modalità concreta per educarsi al dono di sé; la comunione tra le diverse vocazioni, come sostegno vicendevole per vivere alla presenza del Signore.

Non si tratta di pacchetti configurabili ma di un all-inclusive.

Al centro di tutto c’è la santificazione della famiglia. Direi che don Pietro lo abbia ribadito allo sfinimento: “La famiglia cristiana si deve santificare, perché nella famiglia cristiana c’è tutto un disegno di amore di Dio. Il nostro impegno che prende la forma dei gruppi comunitari, il nostro impegno di santificare la famiglia secondo il comando del Signore: «Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo» ci dice in quale ordine dobbiamo camminare” [2]. E ancora: “Un’unica Comunità formata da tante piccole “famiglie”, che sono le particolari amicizie, ma tutti – tutti! – per la santità. Tutti per fare, tutti per dare, tutti per amare!” [3]; L’avvenire della Chiesa sta in queste famiglie che vogliono essere le «piccole chiese» o, meglio, le «grandi» chiese dove il Signore è amato, dove si rifiutano tutte le infiltrazioni, dove si respira l’atmosfera dello Spirito Santo” [4]. Ed infine, facendo trasparire anche un tenero rammarico: “Delle volte faccio una colpa a me di cecità parziale o totale! Vorrei vedere una santità che si afferma, che si snoda, che sa adattarsi alle circostanze diverse, che si muove, che non prende – ecco, ecco! – che non prende dal mondo! È così difficile non prendere dal mondo!” [5].

Questo è quanto ci è stato affidato e quanto ci viene chiesto insieme; questo è quanto possiamo portare nella fiducia che il Signore per questa via agisce.

Non dobbiamo perdere di vista questa prospettiva. Sacerdoti, famiglie, giovani: se non abbiamo chiara la meta non ha più senso il nostro essere insieme in questa forma. E tutto diventa sterile, esercizio delle proprie ambizioni ed aspirazioni umane anche quando condite dagli ideali più nobili.

Don Pietro ci ha indicato una strada complessa, non possiamo nasconderlo. Che poi è la complessità e la straordinarietà della famiglia. Abbraccia la totalità della vita, e non un suo singolo aspetto o periodo. Per questo non si può evitare di mettere insieme tante dinamiche differenti e coessenziali, in un quadro unico ed armonico. Abbiamo il compito di accompagnare i più giovani nella fioritura della propria vocazione, perché altrimenti faranno fatica a desiderare e realizzare una bella famiglia e sarà poi molto difficile la proposta della piccola comunità.

E’ decisivo quindi operare insieme per aiutare a comprendere la verità della vocazione matrimoniale e magari suscitare, a Dio piacendo, nuove piccole comunità di famiglie (“Lavorare per la costruzione delle comunità […]; aiutare i giovani a capirne il grande vantaggio” [6]). E poi accompagnare e sostenere le famiglie e le comunità affinché, una volta scelta questa via bella ed esigente, possano camminare dentro il progetto di Dio.

Una proposta quindi che sia accessibile e sostenibile; altrimenti non è credibile, non è vera. Se non crediamo sia proponibile il dono ricevuto, veniamo meno alla nostra chiamata.

Se le nostre famiglie e piccole comunità si smarriscono perché lasciate sole, veniamo meno alla nostra chiamata.

Mi pare ci sia una sola strada possibile da percorrere e che don Pietro ci ha indicato in ogni suo agire: farsi prossimi. Tutte le teorie, le parole, anche quando perfettamente razionali ed elaborate, pian piano diventano sterili se non alimentate da una grande prossimità. L’Incarnazione ci parla di questo, la trasmissione della fede ci parla di questo, l'opera di don Pietro e la nascita delle piccole comunità ci parla di questo.

La tentazione più grande che oggi viviamo è quella della soluzione a buon mercato, più veloce. Ovvero sopperire alla comunione con il fare, con l'organizzazione, con una buona struttura.

Abbiamo tutti bisogno di prossimità, di autentica vicinanza. In abbondanza.

Ad alcuni educatori a cui sono molto legato, ho detto una cosa di cui sono profondamente convinto: “Vi faccio il regalo più bello, per voi e le vostre famiglie: vi propongo di diventare educatori del Movimento Giovani. Non vi sto chiedendo un servizio. Sarete i primi a ricevere in abbondanza da questo vostro sì, prima ancora di iniziare a dare!”. Ne sono certo, perché così è stato ed è per me. Perché so che lì il Signore darà l'alimento per vivere in verità la loro vocazione: facendosi dono per i ragazzi (ed è entusiasmante quando puoi offrire la tua vocazione e quanto di più bello stai vivendo), crescendo nella comunione in famiglia ed in comunità, sentendosi parte e protagonisti di un’opera comune, condividendo tutto questo con il sacerdote. Sono tutti ingredienti utili a sostenere e far fiorire prima di tutto la nostra vocazione.


E qui non posso non aprire una parentesi sul “condividendo con il sacerdote”. Sono convinto che la sua presenza sia decisiva, come amico e ancor prima come sacerdote. Il sacerdote porta Dio nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità! Da soli ci perdiamo, ci sediamo: la nostra vita spirituale, nel contesto odierno, tende a scivolare ai minimi termini. E così si spegne il motore di tutto e non gira più niente. Il sacerdote è carburante per la nostra vita spirituale perché ci aiuta ad alzare lo sguardo verso l’alto, perché è per noi segno e presenza viva di Dio. Non mi stancherò mai di dire ai ragazzi di cercarsi un bravo prete, di tenerselo stretto, di fare una buona direzione spirituale. Che strumento prezioso! Che dono e responsabilità grande per il sacerdote! Investiamoci preghiera, cuore e tempo.

Dicevo che sono tutti ingredienti utili a sostenere e far fiorire la nostra vocazione.

Per donare qualcosa infatti, dobbiamo viverla noi per primi fino in fondo, nella verità. Io posso donare solo quello che ho, perché trasudo di quel dono. Altrimenti siamo finti, la raccontiamo a noi stessi, e pian piano diventiamo grandi slogan immersi in una vita triste e insoddisfatta.

Quanto vivo in verità quello che ho scelto, predico, propongo?

Un criterio di verifica: il mio cuore. Quanto desidera trasmetterlo? Con quale entusiasmo? Questo c’è solo se lo sto vivendo per primo e sto sperimentando quanto è bello. E allora non riesco a tenerlo dentro.

È per questo che noi siamo i primi ad aver bisogno di respirare a pieni polmoni dentro tutte le dinamiche che alimentano la nostra vocazione speciale. Abbiamo tutti bisogno di recuperare questa semplicità per non ritrovarci distanti dalla vita delle persone. Abbiamo bisogno di “esserci”, al di là dei compiti da svolgere che abbiamo, come in una famiglia: gratuitamente, con abbondanza, senza troppi calcoli. Credo che in fondo questa sia stata la misura di Cristo quando era con i suoi amici.

Siamo quindi chiamati e mandati ad essere prossimi: ai giovani, alle famiglie, alle piccole comunità. È evidente come don Pietro abbia vissuto il suo sacerdozio tra la vita delle persone, condividendo tutto (“Abbiamo condiviso tutto”; cfr Testamento alle comunità). In fondo, forse, è il segreto più prezioso che ci ha svelato. Questo ha permesso il nascere di tutto, di avvicinare tanti al Signore, di sviluppare generosità e disponibilità inattese. Anche le comunità sono nate così con don Pietro e dopo don Pietro, grazie ai sacerdoti che si sono fatti prossimi in quel modo, ed hanno creduto e proposto questa via. Così mi pare per le stesse vocazioni sacerdotali. E oggi ci chiediamo perché queste dinamiche faticano a rinnovarsi tra le nostre famiglie e comunità.

Per condividere la vita delle persone è necessario tempo ed essere nei luoghi dove le persone vivono. Per questo anche la parrocchia, pure in una concezione diversa e nuova da quanto siamo abituati ad intenderla, è un luogo imprescindibile. Questo mi pare sempre più evidente proprio per la natura stessa della nostra proposta, perché possa essere umanizzante per le famiglie e per i sacerdoti chiamati ad accompagnarle; altrimenti siamo tutti sparati in un frullatore senza avere la possibilità di radicarci nell’autentica comunione di vita che il nostro cuore desidera.

Deve quindi rimanere un tempo significativo ed un cuore attento a portare il nostro dono, che non è per noi ma a servizio delle persone e delle comunità in cui viviamo. Non stiamo togliendo loro nulla, ma stiamo dando loro il dono più prezioso che abbiamo ricevuto.

Ce lo ricorda senza equivoci don Pietro: “Impegnarsi perché possiamo realizzare la Chiesa nelle piccole comunità, che non sono per se stesse, sono per la Chiesa; sono nella Chiesa come evangelizzazione, vogliono arrivare con la loro carità agli altri, con il loro esempio agli altri, con il loro dinamismo di fede a tutti: ai poveri, agli ammalati, agli increduli, perché si possa dire di loro come dicevano i pagani dei primi cristiani: «Guardate come si amano!». Ed era tutto!” [7].

Dobbiamo essere i primi a crederci: qual è l’opera “speciale” a cui ci sentiamo chiamati insieme? Dove sentiamo di realizzare le aspirazioni che suscita il nostro cuore?

Se è l’autentica comunione di vita di cui è impregnato il nostro carisma, allora non possiamo che ripartire con convinzione e slancio da lì. È importante mettere insieme al centro l'essenziale, perché tutto e tutti collaborino verso un'unità di intenti, verso un unico obiettivo.

Il richiamo di don Pietro sull’unità ci illumina: “È solo in un sentimento unitario di lavoro che si può fare la nostra grande opera nel mondo. Io vorrei che sentiste che questa nostra famiglia deve essere servita con pienezza, servita attraverso la nostra santità personale, servita attraverso la nostra pratica forma di servizio. Vorrei che ci sentissimo impegnati e mettessimo in primo piano questa nostra forza di unione e di carità” [8]. Ed ancora: “Ci sono delle opere che noi dobbiamo fare: sono opere non dell’uno o dell’altro, le nostre opere sono opere di tutta la Comunità, anche se le svolge uno solo! In qualsiasi parrocchia, in qualsiasi campo, in qualsiasi situazione, l'opera di uno deve essere espressione della Comunità, perché la Comunità si presenta come un patto vocazionale, e alla vocazione si risponde insieme! Quindi, un’impostazione più unitaria, più completa. Molto spesso il fatto organizzativo ci trova tiepidi, individualisti, con troppa anarchia. Vorrei che ognuno di voi lo sentisse: le opere partono dalla Comunità, devono essere una proiezione comunitaria nel mondo” [9].

Tuttavia non un’unità buonista che rappezza cocci da far stare insieme per forza, ma un’unità fondata sull’obbedienza, l’unica che può farci camminare con un cuor solo. Un'esperienza, un carisma non sono contenitori vuoti con un bel titolo in cui ognuno può inserire quello che vuole. C’è un'identità che mi precede, a cui mi metto a servizio, anche in modo creativo, ma a servizio! Ci sono pagine fondamentali già scritte. Io vengo dopo. Su questo non possiamo farci e fare sconti.

Serve quindi rimanere ben lucidi sul cuore della missione per rivedere le priorità, vivere in una profonda umiltà che ci consenta di arrivare ad una autentica condivisione e unità di intenti, mettere a servizio i nostri talenti. E poi avere coraggio, fede e fiducia in chi ci ha guidato e ci guida, certi che la provvidenza aggiusta i nostri grossolani errori.

Un ultimo pensiero, che mi sta molto a cuore.

Prendo spunto dall’esperienza di tanti anni con i più giovani, che evidenziano questioni importanti che riguardano tutti. Ho visto in alcuni casi amicizie e comunità fragili, spaesate davanti alle prime difficoltà, sedute spiritualmente, che sanno più di chiusura e appagamento piuttosto che di slancio e dono. Mi sembra emerga in sottofondo una difficoltà nella comprensione dell’esperienza comunitaria, delle dinamiche più vere dell’amicizia. Si tende a rimanere sulla superficie senza cogliere l’essenza, ponendo al centro le proprie attese ed i propri bisogni.

Nell’ultimo mese in ospedale mi è capitato di riflettere su questi temi davanti all’icona della Madonna che avevo sempre di fronte al letto. Ho intuito una bellissima corrispondenza tra i misteri del Santo Rosario e il mistero della comunione, o ancor meglio il mistero dell'amicizia. L’amicizia: questa grande parola sventolata ed inserita ormai ovunque. Quanto l’ho capita fino in fondo? Quanto ci sono entrato nelle viscere più profonde e vere? Quanto, invece, me la sono costruita a mio piacimento?

Mi ha sempre smosso dentro questa questione, soprattutto da quando ho scelto la comunità, perché intuisci che è centrale. Molte situazioni che vivi, soprattutto le più faticose, ti riportano sempre lì. Mi è parso così evidente: i misteri del Rosario descrivono in modo chiaro e completo le dinamiche più belle dell'amicizia e ci aiutano nella comprensione di questo prezioso tesoro. La verità dell’amicizia la ritroviamo in tutti i misteri del Rosario. Tutti insieme, inseparabilmente. Se ne perdiamo anche solo uno, salta tutto; scimmiottiamo altro, andiamo fuori strada, ci rimane in mano una bella parola che non riusciamo ad afferrare e rischia pure di farci del male. Sarebbe bello poter spaziare largamente su questo tema perché mi pare decisivo anche per la nostra felicità. Condivido solo alcuni passaggi, in cui ritrovo la mia storia.

Tutto ha inizio quando cresce nel tuo cuore il desiderio di altro, oltre a te stesso. Questo ti smuove: cominci a cercare, a metterti in gioco con altre persone. E sperimenti una serie di dinamiche molto differenti, passando spesso da semplici frequentazioni, superficialità, vuoti. Poi, trovi qualcuno che capisci che è speciale, che intercetta delle corde particolari, con cui senti di poter costruire qualcosa di più. Inizi a viaggiare su una lunghezza d'onda diversa, ad aprirti al mondo dell'interiorità. Si traduce immediatamente nella gioia di ritrovarsi, nell'immediatezza della comunicazione, nel piacere della presenza in quanto tale. E quando si inserisce il Signore, allora nasce l‘Amicizia e si aprono delle porte magnifiche: la presenza con noi e in noi di Dio è la forma più alta dell'amicizia: è l’Amicizia.

Allora siamo finalmente proiettati nei misteri Gaudiosi. Il bello di visitarsi, di cercarsi, di imparare a conoscersi, di crescere nella confidenza, fino a manifestare pubblicamente la gioia di un dono ricevuto che riempie il cuore.

Poi vengono i misteri luminosi, dove mi sembra che lo Spirito soffi più forte. È il momento in cui l’acqua si trasforma in vino, in cui sei sul Tabor e riesci a vedere la grandezza di questa chiamata, in cui capisci da dove scaturisce e dove ti devi ancorare: il Regno e l’Eucarestia. È il momento in cui sei inondato di grazia, viaggi ad un metro da terra… e senti che vuoi stare lì, per sempre. Amicizia è ricerca assieme della verità, è camminare fianco a fianco verso una meta, un bene.

Su questo tema don Pietro è maestro sapiente e volentieri attingo e metto insieme alcune frasi dai suoi pensieri, perché non trovo a riguardo parole più vere e profonde.

L’amicizia cristiana è un saper dare e un saper ricevere: è un saper dare nello Spirito Santo, è un saper ricevere nello Spirito Santo. Perché i cristiani non si donano solo dei beni umani, pur grandi e preziosi, ma si donano dei doni soprannaturali” [10]. L'amicizia è data da Dio e conduce a Dio” [11].

Ci mettiamo insieme per crescere nella santità” [12]. “Bisogna che l’amicizia si saldi così, nella carità di Cristo. […]. Non è amore quello che non costa; si dimostra l’amore quando l’essere fedeli costa del sacrificio, ed è offerta, ed è dono che si prende dall’altare e si comunica” [13].

Due amici parlano, colloquiano; due amici si scambiano le impressioni, le idee e il loro dialogo diventa sempre più intimo. Sanno che realizzando l'amicizia apriranno una strada magnifica verso Dio, una strada magnifica, piena di cose belle, piena di cose sante; e pregano! Pregano per restare tutti e due sempre sotto la guida dello Spirito Santo, per restare tutti e due sensibili a quegli indirizzi che lo Spirito Santo abbondantemente darà. Pregano insieme perché sanno che senza l'aiuto dei Signore non riusciranno, che, senza l'aiuto dei Signore per loro il cammino diventerebbe non solo difficile, ma impossibile. È con l'aiuto di Dio che si fa tutto.” [14].

Quanto è importante aver chiari questi fondamenti! Ogni tanto bisogna tornarseli a leggere per fissarli bene nel cuore e verificare seriamente come sto vivendo le mie amicizie. Il criterio allora non è quanto ci corrispondiamo, quanto siamo affini, da quanto tempo ci conosciamo; a volte questo può diventare persino un ostacolo verso una comunione più profonda. L’amicizia deve rilanciare in avanti il proprio e altrui cammino, essere stimolo a vivere e realizzare la propria vocazione alla santità. È bello e incoraggiante vedere come su questi ideali nascono delle amicizie inaspettate tra persone che non si conoscevano fino a qualche tempo prima, che non hanno quindi condiviso nulla nel proprio passato e nella propria giovinezza. Anche io posso testimoniare e godere di questa fortuna.

Se viviamo così, allora il frutto dell'amicizia non può rimanere nascosto, perché al di là di quello che si vede deve fecondare ed essere lievito per altri. Si tratta di una sfida meravigliosa ma anche difficile, perché in campo ci sono tutti i nostri limiti e le nostre povertà.

Entriamo quindi nei misteri dolorosi. Se non li consideriamo, se non li comprendiamo, se non ci prepariamo, spesso salta il banco. Perché arrivano sempre, perché sono in tutte le dinamiche della nostra vita. Non ne siamo preservati dai due misteri precedenti. Ci sono croci che uniscono, che rafforzano i legami, fanno crescere insieme nella fede: il condividere una preoccupazione, una sofferenza, una malattia. Ci sono croci invece che annientano: sono le ferite che ci infliggiamo tra di noi. L’amicizia non ce le risparmia perché è il luogo in cui ci mettiamo più a nudo, in cui siamo più esposti ed in cui escono tutte le nostre povertà. L’amicizia le porta in serbo, spesso le amplifica, lasciando un segno indelebile: il non sentirsi corrisposti, capiti, valorizzati; il sentirsi giudicati, offesi, umiliati. Nella vita di comunità e di famiglia le parole negative, taglienti, hanno il potere di far chiudere ognuno in se stesso e di spegnere ogni confidenza e clima fraterno. Le ho viste tutte queste dinamiche e viene naturale rifiutarle, allontanarsi, scappare da quella relazione - anche di una vita! - mantenendone una formalità esteriore e vuota, ma rinunciando di fatto alla sostanza.

Sempre don Pietro ci ricorda: “Se l'amicizia è così preziosa e benedetta, perché c'è tanta poca amicizia? C'è tanta poca amicizia perché tendiamo all'egoismo, siamo impastati di egoismo, siamo immersi nell'egoismo e la nostra sensibilità alle volte non ci porta che alla pretesa e all'invidia” [15].

Dobbiamo tenere sempre presente che l’amicizia “è il luogo della conversione […], è il luogo dove il Signore ci ha chiamato per darci la possibilità della conversione. […]. Se deve essere luogo di conversione, allora costa sempre. […]. Dobbiamo volerci bene, volerci molto bene e saperci perdonare fino in fondo i nostri difetti. Non si sta in comunità tenendo le nostre idee e giudicando gli altri se fanno come pensiamo noi, se meritano perché acconsentono alle nostre proposte. […]. Dobbiamo unirci nella carità piena e totale, carità fatta di pazienza, di umiltà, fatta di chi sa di essere l'ultimo e sta in fondo. La comunità è il banchetto in cui uno si mette in fondo perché sa che il suo posto è in fondo!” [16]. Suor Faustina nel suo diario dice “Oh come tutto attira l'uomo verso terra; ma una fede viva mantiene l'anima in una sfera più alta, ed assegna all'amor proprio il posto che gli spetta, cioè l'ultimo”.

Questo è il cuore dell’amicizia, è l’essenza di quanto scegliamo di vivere ordinariamente nella vocazione alla comunione e nella piccola comunità.

La malattia mi ha fatto fare un’esperienza speciale dell’umiltà: l’umiliazione. Quella da cui non puoi scappare anche se vorresti, davanti a tutti e in mille modi: nell’ambiente in cui vivi, nel lavoro, con gli amici, con mia moglie, con mio figlio. Papa Francesco in una recente omelia ha detto: “Non c’è vera umiltà senza umiliazione, e se tu non sei capace di tollerare, di portare sulle spalle un’umiliazione, tu non sei umile ma fai finta. Sempre c’è la tentazione di lottare contro quello che ci calunnia, contro quello che ci fa l’umiliazione, che ci fa passare vergogna. La strada è quella di Gesù, portare le umiliazioni in speranza” [17]. Ed è proprio così!

A partire dall’umiliazione ho fatto l’esperienza più vera dei misteri gloriosi, grazie in particolare alla testimonianza di Chiara che mi mostra ogni giorno cosa significa morire all’altro. Mi fa respirare a pieni polmoni del significato autentico della presenza, della delicatezza, della cura, della comunione spirituale. Senza chiedere nulla. Il dono senza riserve della vita compie questo miracolo, riscatta le nostre povertà e le nostre ferite, le purifica e le eleva come offerta gradita a Dio. Questo è il miracolo dell’amicizia, strumento di conversione ed esperienza di autentica risurrezione. Quando scegliamo di non sfuggire dalla croce, ma di viverla a tutto dono. Quando mettiamo da parte l’io e spalanchiamo le porte all’altro. Quando stiamo sempre nell’amore: l'amicizia di Gesù non è stata fermata nemmeno dal tradimento.

L'umiltà consiste nel farsi piccoli non per qualche necessità o utilità personale, ma per innalzare gli altri. Per ora ho trovato solo un modo per riuscire ad attingere a qualche goccia di questa autentica conversione: tenere caldo il cuore vicino al Signore e a Maria. Solo così tutti i nodi si sciolgono. Solo così riceviamo dallo Spirto il dono di una carità fervida e di un’umiltà che ci apre all’altro. Il prossimo diventa veramente fino in fondo «prossimo», perché lo porto con me nel cuore anche quando sono solo con Dio e con me stesso. Il prossimo solo così diventa mio intimo. La comunione nella preghiera riduce tutte le distanze, perfino quelle fisiche.

Se giochiamo fino in fondo questa impegnativa partita con l’amico, allora tutto il resto il Signore ce lo dà gratis. Tutti i frutti meravigliosi dell’amicizia, quello che vediamo bello e desiderabile quando abbracciamo questa strada, arrivano in abbondanza e gratis.

Quando stiamo nell’amore e nel dono, dopo i misteri dolorosi arrivano sempre i misteri gloriosi.

Vi lascio con alcune parole di don Pietro ed un mio augurio.

Vorrei però dirvi solo questo: da noi il Signore aspetta la santità. Non aspetta le parole, non aspetta le mediocrità, non aspetta le stupidaggini, non aspetta le chiusure, non aspetta le lamentele: aspetta la santità! Sentite? La santità! La santità!” [18]

Vi auguro di poter sempre più scoprire e vivere tra voi l’Amicizia in Cristo: quell’Amicizia strumento di conversione, quell’Amicizia che fa risplendere tutti i misteri del Santo Rosario.

Umberto

--- --- ---[1] Sal 90 [89],12.[2] DON PIETRO MARGINI, Incontro plenario delle comunità, 25 marzo 1982. [3] DON PIETRO MARGINI, Incontro plenario delle comunità, 2 febbraio 1988. [4] DON PIETRO MARGINI, Incontro plenario delle comunità, 9 gennaio 1982.[5] DON PIETRO MARGINI, Incontro plenario delle comunità, 25 settembre 1988[6] DON PIETRO MARGINI, Esercizi spirituali predicati ai Diaconi, 12-14 agosto 1989, VIII meditazione.[7] DON PIETRO MARGINI, Esercizi spirituali predicati ai Diaconi, 12-14 agosto 1989, VIII meditazione.[8] DON PIETRO MARGINI, Primo incontro plenario, 2 giugno 1972.[9] Ibidem.[10] DON PIETRO MARGINI, Catechesi vespertina, 17 dicembre 1978.[11] DON PIETRO MARGINI, Corso dei Fidanzati, 28 marzo 1983.[12] DON PIETRO MARGINI, Esercizi spirituali predicati ai Diaconi, 12-14 agosto 1989, VIII meditazione.[13] DON PIETRO MARGINI, Omelia, 13 agosto 1986.[14] DON PIETRO MARGINI, Corso dei Fidanzati, 28 marzo 1983.[15] DON PIETRO MARGINI, Corso dei Fidanzati, 28 marzo 1983.[16] DON PIETRO MARGINI, Esercizi spirituali predicati ai Diaconi, 12-14 agosto 1989, VIII meditazione.[17] FRANCESCO, Omelia, 29 gennaio 2018.[18] DON PIETRO MARGINI, Incontro plenario delle comunità, 2 febbraio 1988.