III anniversario 2021

III ANNIVERSARIO, 15/04/21

Don Luca Ferrari, Reggio Emilia

Un amico vero è un dono immenso che il Signore fa.

Le letture questa sera ci aiutano a entrare nel segreto della vera amicizia, da dove parte e come cresce, dove diventa grande, matura, eterna. Spesso nasce da uno sguardo, ma poi necessariamente da una parola. Se dovessimo setacciare tutte le nostre parole, i nostri discorsi, quelli che noi facciamo, forse anche con amici: di cosa parliamo? Parliamo delle unghie? Parliamo dei capelli? Parliamo del pesce che abbiamo mangiato, se era abbastanza buono? Parliamo del Covid? Parliamo della quarantena? Parliamo della DAD? Di cosa parliamo?

Non è questo che evidentemente fa accendere un’amicizia e la fa fiorire, non è questo che fa la differenza tra la parola e il nulla. Ma è vero, saper parlare e saper tacere è una delle arti più difficili, anche per i professionisti della parola, perché spesso il frutto di una parola lo si riconosce più avanti, più tardi. È arrivata? Non è arrivata? Cosa ha fatto sbocciare? Cosa ha spento? Cosa ha avviato? Cosa ha promosso? C’è dunque una sfida molto grande nel silenzio e nelle parole: quella di una rivelazione, quella di una apertura, piuttosto che una chiusura. Non è facile imparare a parlare e a tacere.

La prima lettura ci presenta un caso tipico dove emerge un criterio molto chiaro. Un ragazzo, quando gli chiedi: “Quali sono le tue idee?” Non è sempre facile distinguere quello che chiama le sue idee da quello che si sente dagli influencer, dai martellanti messaggi che arrivano ormai a ogni ora del giorno e della notte, anche in camera propria. E dunque le persone più accorte sanno come fare per dire ciò che chi ascolta, si aspetta di sentirsi dire. Questo sembra quantomeno non chiudere tutte le porte. Pietro non aveva capito, perché quello che diceva evidentemente non piace a chi ascolta. Dà fastidio, si sente giudicato, si sente criticato. La sua risposta è nitida e chiara. “Secondo voi è meglio obbedire a voi, dire quello che piace a voi, oppure obbedire a Dio, dire quello che piace a Lui?”. E lui scommette su questo.

È iniziata proprio cosi l’amicizia con Umbo. Con una questione che l’opinione corrente, comune considerava ovvia: ci si deve comportare così e così. E quando ci siamo trovati l’uno davanti all’altro mi ha sottoposto quella questione: “Che cosa devo fare secondo te?”. Questa domanda esprimeva una vera inquietudine ma diventava presto anche una specie di sfida. “Che cosa mi dici che devo fare?”. Ci sono persone che cominciano discussioni infinite e inconcludenti che non fanno altro che allontanare. Succede anche per le cose piccole, tanto più per cose che uno ritiene importanti, grandi. Si parla, si parla, si parla e così via e non ci si intende. Ricordo - e lo faccio perché è stato lui stesso a ricordarlo - ricordo che gli risposi così: “Se tu mi chiedi che cosa dice la parola di Dio te lo dico. Se tu mi chiedi che cosa devi pensare, questo me lo devi dire tu. Ascolta la tua coscienza”. E il primo colloquio è andato cosi. E’ lì che è nata una amicizia grandissima. Perché ci siamo subito intesi: non sono io che ti devo condizionare con i miei pensieri, con le mie idee, con i miei gusti, con il mio stile, con le mie teorie. Sei tu che devi dire che cosa vuoi. È stato davvero l’inizio di tante cose molto belle. Perché appunto ci siamo messi dalla stessa parte. Ognuno ascolti quello che il Signore gli dice. Ma qui viene la parte più impegnativa: come faccio a capire quello che il Signore dice? Ci sono cose in cui è evidente il pensiero del mondo e il pensiero di Dio. Ci sono tante situazioni nelle quali ci è chiesto di essere sensibili, intelligenti, attenti, esaminare in profondità, rischiare una decisione. E qui allora l’amicizia cresce. Perché se ci poniamo in questo atteggiamento, l’uno diventa aiuto per l’altro a riconoscere ciò che davvero il Signore mi sta dicendo, mi sta chiedendo.

Fino ad arrivare al culmine del vangelo: siamo nel cuore di una notte, dove un uomo onesto non riusciva a soffocare le sue domande neanche davanti al sinedrio cui apparteneva, ma soprattutto di fronte al suo cuore. Si reca di notte da Gesù e si mette ad ascoltare. Lì comincia un dialogo dove il cuore parla al cuore senza mediazioni. Si possono evitare tutti i convenevoli, tutti i preamboli, tutto quello che serve per mettersi più tranquilli: “Mi vuoi bene? Non mi vuoi bene? Cosa mi stai dicendo? Cosa ne penso?... però non lo so, adesso vediamo”. Mi interessa conoscere Dio, dice Nicodemo a Gesù. E Gesù gli risponde: “Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti. Ma chi viene dalla terra appartiene alla terra e parla secondo la terra”. Vuoi che ci intendiamo? C’è un modo solo. Quello di non approfondire la propria ragione, la propria competenza, la propria teoria, di difendere le proprie azioni, le proprie posizioni. Ascolta. Ascolta chi viene dall’alto. Ed è stato proprio così in che una amicizia che cresceva le parole scaturivano dai dialoghi con Dio, con Gesù. Sono stati momenti molto forti e anche piuttosto lunghi. “Non riesco a dormire”, diceva, “ne approfitto per stare con Gesù”. Da lì l’intensità dei nostri incontri. Perché il segreto è proprio questo: se noi ragioniamo così, in un modo ordinario e comune, quante cose inutili fino a far scomparire il desiderio di cose autentiche, di amicizie vere, così… per paura di non essere capiti. Ed è logico, perché se uno dice delle cose che vengono dal cielo, non è detto che l'altro le capisca. Se viene dalla terra, capisce solo le cose della terra, dice Gesù. Ed è forse per questo che in ambito quotidiano, ma forse anche pubblico, in generale, si preferisce non parlare delle cose di Dio, perché non tutti le capiscono. E sembra che il solo modo per stare in pace sia quello di risparmiarsi le cose che contano. Fino ad avere il dubbio di sapere se contano davvero, e dove, e quanto, e per chi.

Eppure, è proprio lì che Gesù afferma: “chi ne accetta la testimonianza conferma che Dio è veritiero”. Bellissimo. Allora capisci che se c’è qualcuno che accoglie quella testimonianza, viene da Dio. Lo Spirito che ha suggerito a te ha illuminato anche lui. È cosi l’avventura della fede, ma credo, soprattutto la sostanza di ogni amicizia. La fede: noi raccogliamo la testimonianza dei padri, testimonianza degli apostoli fino alla testimonianza di Abramo, come coloro che sono stati illuminati da Dio. Ma per poterlo dire noi stessi dobbiamo essere illuminati appunto. Altrimenti siamo semplicemente convenzionali che credono qualcosa per tradizione, ma nel senso più sottile del termine, “mi è stato detto, ma non è mia quella parola: non è per me”. Chi invece ascolta il Signore e si riconosce nell’amico sa che quella amicizia è costruita davvero sulla roccia, su Dio. Ecco che allora non c’è più bisogno di insistenze, di tentativi più o meno patetici di convincersi e di convincere l’altro, gli altri: è sufficiente rinascere dall’alto. Ecco il tesoro delle amicizie che nessuno può scalfire: né il tempo, né le prove della vita e nemmeno la morte.

III ANNIVERSARIO, 15/04/21

Don Gigi Lodesani, Albinea

Sappiamo bene che San Pietro è un uomo passionale, anche istintivo, lo vediamo in tanti episodi del vangelo; eppure allo stesso tempo sappiamo che non è un uomo così coraggioso. Ha avuto paura di fronte ad una serva di testimoniare la sua vicinanza, la sua amicizia con Gesù. Eppure, passati pochi giorni da questo evento, da questa paura, da questo rinnegamento, lo troviamo con un coraggio da leone davanti al Sinedrio, davanti ai capi religiosi del popolo. Gli era stato ordinato, intimato, di non dire nulla nel nome di Gesù. Addirittura il Sinedrio, non riporta neanche il nome di Gesù. Non osano neanche nominarlo. Gli hanno ordinato di non parlare di “quel nome”, di non diffondere la dottrina di “quel nome”. Ecco, Pietro ha un coraggio da leone. In questo momento non ha paura di nessuna rappresaglia, non ha paura di alcuna minaccia, non ha paura neanche di mettere a repentaglio la sua vita. “Dite voi se è meglio obbedire agli uomini o a Dio”. Come mai questo cambiamento così repentino in Pietro? Questo brano mette anche noi, questa sera, di fronte ad una responsabilità, ad un esame di coscienza: nella nostra vita tendiamo ad obbedire agli uomini, e a noi stessi, oppure a Dio?


Il Vangelo di oggi ci dice che Gesù viene dall’alto, che viene dal cielo; questo “dall’alto” è “dal cielo”. Sembra quasi che Pietro abbia fatto esperienza proprio di questo: aveva il dubbio che Gesù, vedendolo arrestato, non fosse vero Dio, che non fosse tutto quello che Lui aveva promesso di essere. Che non potesse realmente proteggerlo, difenderlo, salvare la sua vita. Ora invece che Gesù è risorto, si è reso conto proprio di questo. Ecco, di fronte a questa esperienza, a questa esperienza dall’alto, non ha davvero paura a lasciarsi tutto dietro di sé, proprio come quando aveva seguito Gesù all’inizio. E Gesù viene dall’alto per una relazione, perché vuole una relazione con noi; e torna all’alto, al cielo, per ritornare a casa. Per ritornare nella sua dimora, per ritornare nel seno del Padre. Ecco, anche figurativamente questo alto, questo cielo, per noi è l’evento, lo spazio della generazione, delle generazioni. Anche noi siamo generati dall’alto. Lo stiamo leggendo in questi giorni, proprio nel dialogo con Nicodemo. “Chi non rinasce dall’alto” ci dice Gesù. Ecco, rinascere dall’alto significa essere consapevoli di venire generati e rigenerati continuamente da Dio. Mettere il nostro cuore, la nostra àncora in cielo e non in terra. Quelli che sono in terra vedono e giudicano le cose della terra, invece chi viene dal cielo riesce a vedere le cose attraverso Dio.


Quando dobbiamo guardare all’orizzonte, se una persona è sopra un piedistallo, o sopra ad una torre, riesce a guardare lontano molto meglio di chi sta giù. Ecco, guardare le cose dall’alto, guardare le cose dalla prospettiva del cielo, ci permette di vedere con una profondità diversa, ci permette di andare molto più alle cose fondamentali. Gesù allora è l’amico che viene dall’alto, o meglio, è Dio che è sceso dal cielo per diventare nostro amico. Ha voluto incontrare degli amici, ha voluto farsi degli amici. È una delle espressioni più belle del cristianesimo. Un Dio che è venuto in in cerca di amici.


Allora, non è difficile anche per me, questa sera fare un riferimento ad un amico che ora è in cielo, che è un’amicizia che viene dall’alto. È sempre un dono grande; anche se non viene tolta la sofferenza, il dolore, di una persona cara, un amico che muore. Ma è allo stesso tempo un dono, anzi è un tesoro preziosissimo. Perché la relazione non viene interrotta, perché la relazione non finisce. Si cambia davvero prospettiva, anzi, diviene un’amicizia che permette ancora di più di camminare verso Dio, di fare esperienza di Dio, e di guardare alle cose del cielo e non solo a quelle della terra.


Mi piacerebbe allora, per onorare Umberto, dire due cose proprio sull’amicizia.


Tutti noi abbiamo accesso a noi stessi, al nostro io, solo attraverso l’incontro con un tu. Soltanto attraverso l’esperienza con un altro, con un’altra. E l’altro ci libera sempre da noi stessi, ci svela noi stessi e i nostri limiti, e le nostre qualità, e i nostri doni. Ci permette di accogliere più facilmente noi stessi e quello che siamo. L’amico ci dona alle volte un senso più profondo di vivere, un significato più profondo della vita. Gli amici sanno che cosa sia il tempo, la preziosità del tempo, perché una amicizia si costruisce sempre sul tempo, che si investe.


E lo sguardo dell’amico è un’àncora, è un approdo sicuro, è un luogo al quale noi ci possiamo afferrare, soprattutto nei momenti di difficoltà e di sbandamento. L’amicizia è quel luogo, quell’esperienza che ci libera dal bisogno di un riconoscimento dell’altro legato alla prestazione, legato al confronto. Su questo noi siamo molto sensibili: guardare a noi stessi attraverso la comparazione, attraverso il confronto. Ecco, l’amicizia ci libera da questo e ci fa vedere la bellezza di essere riconosciuti non sulla prestazione ma sull’affetto, proprio sul sentimento. Sono riconosciuto, sono amato, semplicemente per questo, per quello che sono. Non per i risultati, non per delle prestazioni, non per degli interessi. Ecco che l’amicizia allora è anche il luogo della gratuità, della gratuità ricevuta, della gratuità donata.


Diceva già Aristotele tanti secoli fa che “l’uomo felice ha bisogno di amici”. Lo potremmo anche tradurre: senza amici non possiamo avere una vita realmente felice. Ecco perché avere amici in terra e in cielo diventa per noi allargare i confini. Acquisiamo uno spazio e un tempo illimitato. Così l’amicizia terrena è cammino verso il Signore, è avventura insieme come compagni di viaggio verso Dio, e l’amicizia più profonda è quell’amicizia che ci fa fare esperienza di Dio. Perciò quando abbiamo qualcuno a cui vogliamo bene, e che ci vuole bene, e che è già al cospetto di Dio, diventa ancora più vera e più efficace la nostra vita. Vorrei allora concludere con alcune parole proprio di Umberto, che ci parlano dell’amicizia.


“Ho intuito una bellissima corrispondenza tra i misteri del Santo Rosario e il mistero della comunione, o ancor meglio il mistero dell’amicizia. (…) Mi è parso così evidente: i misteri del Rosario descrivono in modo chiaro e completo le dinamiche più belle dell’amicizia e ci aiutano nella comprensione di questo prezioso tesoro. (…) Tutto ha inizio quando cresce nel tuo cuore il desiderio di altro, oltre a te stesso. Questo ti smuove: cominci a cercare, a metterti in gioco con altre persone. Poi, trovi qualcuno che capisci che è speciale, che intercetta delle corde particolari, con cui senti di poter costruire qualcosa di più. Inizi a viaggiare su una lunghezza d’onda diversa, ad aprirti al mondo dell’interiorità. Si traduce immediatamente nella gioia di ritrovarsi, nell’immediatezza della comunicazione, nel piacere della presenza in quanto tale. E quando si inserisce il Signore, allora nasce l‘Amicizia e si aprono delle porte magnifiche: la presenza con noi e in noi di Dio è la forma più alta dell’amicizia: è l’Amicizia.


Quanto è importante aver chiari questi fondamenti! Ogni tanto bisogna tornarseli a leggere per fissarli bene nel cuore e verificare seriamente come sto vivendo le mie amicizie.


Il criterio allora non è quanto ci corrispondiamo, quanto siamo affini, da quanto tempo ci conosciamo; l’amicizia deve invece rilanciare avanti il proprio e altrui cammino. Essere stimolo a vivere e realizzare la propria vocazione alla santità. Se viviamo così, allora il frutto dell’amicizia non può rimanere nascosto, perché al di là di quello che si vede, deve fecondare ed essere lievito per altri. Si tratta di una sfida meravigliosa ma anche difficile, perché in campo ci sono tutti i nostri limiti e le nostre povertà.”


E un’altra cosa che Umberto diceva ai ragazzi, lui che è stato il responsabile del cammino del Movimento Giovani per tantissimi anni: giocatevi fino in fondo, quello che sapete donare sarà quello che rimarrà di voi nel mondo.